Ue: Corte di giustizia boccia Polonia e Ungheria sulle condizionalità dello stato diritto. E’ scontro

Bruxelles, 16 feb. (LaPresse) – La guerra tra Ue e Stati sovranisti è appena iniziata. La Corte di giustizia europea ha finalmente emesso la tanto attesa sentenza sul meccanismo delle condizionalità dello stato di diritto rigettando il ricorso intentato da Polonia e Ungheria. In sostanza si dà il via libera all’uso di questo strumento che permette all’Ue di bloccare o tagliare i fondi comunitari ai paesi che non rispettano lo stato di diritto. Il regime delle condizionalità per la protezione del bilancio dell’Ue sarebbe dovuto entrare in vigore dal primo gennaio 2021, poi il ricorso dei governi di Varsavia e Budapest ha bloccato l’uso effettivo di tale strumento.

Il meccanismo è stato uno dei cavalli di battaglia del Parlamento europeo che ha sempre invocato la linea dura verso gli Stati membri che violano la distinzione tra i poteri, il rispetto dell’indipendenza della magistratura e della stampa e tutti gli equilibri che compongono lo stato di diritto. Finora la Commissione si è rifiutata di applicarlo facendosi scudo dell’attesa della sentenza della Corte. Decisione che ha portato il Parlamento europeo, allora guidato da David Sassoli, a intentare un ricorso contro la stessa Commissione.

Canta vittoria l’Eurocamera e “si aspetta che la Commissione applichi rapidamente il meccanismo di condizionalità contro Polonia e Ungheria, come annunciato dalla presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola. Ma la Commissione frena: da una parte promette di agire con determinazione d’altra schiva le domande su un effettivo blocco dei fondi a due paesi recalcitranti e sostiene di dover prima esaminare la sentenza. Non solo: l’Esecutivo Ue ha annunciato che nelle prossime settimane pubblicherà delle linee guida “che forniranno ulteriore chiarezza su come applichiamo il meccanismo nella pratica”.
Per attivare il meccanismo serve prima l’accertamento da parte della Commissione della violazione, poi potrà congelare i pagamenti a quello Stato membro dal bilancio europeo. Il Consiglio dell’Ue disporrà quindi di un mese di tempo per votare sulle misure proposte dalla Commissione a maggioranza qualificata. In sostanza, tra l’avvio della procedura e l’attivazione potrebbero passare otto/nove mesi. Poi lo Stato avrà due anni di tempo per rimediare ai rilievi ed evitare di perdere spettanti.

La Corte, respingendo il ricorso di Polonia e Ungheria, ha rilevato che “il regolamento mira a proteggere il bilancio dell’Unione da pregiudizi derivanti in modo sufficientemente diretto da violazioni dei principi dello Stato di diritto, e non già a sanzionare, di per sé, violazioni del genere”. Una bocciatura che ha scatenato reazioni infocate da parte dei due paesi. Parla di “giudizio motivato politicamente a causa della legge sulla protezione dell’infanzia” la ministra della giustizia ungherese, Judit Varga. “La decisione è la prova vivente che Bruxelles sta abusando del suo potere. Questo è un altro strumento di pressione contro il nostro Paese solo perché l’estate scorsa abbiamo adottato la nostra legge sulla protezione dei bambini”, ha aggiunto. Stesso discorso da Varsavia, che parla di “attacco alla nostra sovranità”. “La Polonia deve difendere la sua democrazia dal ricatto, che è toglierci il diritto all’autodeterminazione”, ha affermato il viceministro polacco della Giustizia, Sebastian Kaleta.

La Commissione europea, è bene ricordarlo, deve ancora dare il via libera alla valutazione dei piani di ripresa e resilienza dei due paesi. Intanto, la Polonia si è rifiutata di collaborare con la Procura europea, che ingada sui reati fiscali ai danni dell’Ue. I due paesi potrebbero anche avviare un’azione di protesta e ostruzionismo contro l’Ue e gli Stati membri, decidendo ad esempio di non firmare la dichiarazione finale del vertice Ue-Africa di domani.

 

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