
Bruxelles, 8 feb. (LaPresse) – A Bruxelles la chiamano l’inizio di una nuova rivoluzione industriale. E’ il Chips Act, il pacchetto varato dalla Commissione per aumentare la produzione di microchip in Europa. Una questione, quello dei semiconduttori, molto più grande di quello può sembrare. I microprocessori o chip sono componenti essenziali nella vita quotidiana, si trovano negli smartphone, nelle automobili, nei dispositivi sanitari, nei videogiochi e in tutta l’economia digitale. La sua domanda crescente ha trovato l’Europa impreparata e sempre più dipendente dalle importazioni dai paesi terzi. La carenza è stata tale da generare una vera e propria ‘crisi dei semiconduttori’, che si è fatta sentire ancora di più durante la pandemia, quando sono mancati i ventilatori polmonari e quando interi settori industriali sono stati paralizzati. Ed ha rappresentato una delle famose strozzature degli approvvigionamenti che determinano gli squilibri del mercato.
Con il Chips Act l’Unione europea vuole fare un balzo in avanti, con un programma di investimenti capace di mobilitare 43 miliardi di denaro pubblico e privato per sviluppare un settore sempre più strategico. L’obiettivo non è quello di sopperire alle carenze attuali, perché non ci sono i tempi tecnici per farlo, ma di pensare a un futuro dove l’Unione europea possa competere a livello globale, non solo rispondendo al mercato interno ma esportando e sviluppando i modelli più innovativi sul mercato. L’Ue, insomma, dopo il mega piano di investimenti del Global Gateway (la Via della Seta in versione europea), tenta ora di recuperare terreno di fronte ai giganti asiatici. “L’Europa non può guardare i treni che passano. Dobbiamo entrare in gara”, ha affermato il commissario al mercato interno, Thierry Breton.

“Ci siamo posti l’obiettivo di avere, nel 2030, il 20% della quota di mercato globale della produzione di chip, qui in Europa. In questo momento siamo al 9%, vogliamo arrivare al 20% nel 2030. Ma sapere che la domanda nel mercato globale raddoppierà durante quel periodo, significa sostanzialmente quadruplicare i nostri sforzi”, ha annunciato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen in un punto stampa. E per farlo Bruxelles punta su cinque aree: lo sviluppo e la ricerca, con transistor piccoli ed efficienti dal punto di vista energetico, anche inferiori ai 2 nanometri. Il secondo focus è quello di colmare il divario tra il laboratorio e la produzione effettiva.
Vi è poi la necessità di aumentare nettamente la produzione industriale con impianti avanzati, che ovviamente comportano un enorme costo iniziale, come ha sottolineato von der Leyen. Infine, aumentare la collaborazione con le aziende del settore in paesi “alleati” come gli Usa, la Corea del Sud, Singapore e il Giappone ma senza escludere anche Taiwan. Servono tanti soldi, insomma, per potenziare le poche aziende esistenti e per farne nascere di nuove. Per far decollare il progetto è stato firmato un accordo con la Banca europea per gli investimenti, ci sarà un Fondo Chips per facilitare l’accesso ai finanziamenti per le start-up e l’iniziativa ‘Chips for Europe’ metterà in comune risorse dell’Unione, degli Stati membri e dei paesi terzi associati ai programmi esistenti, nonché del settore privato, attraverso la “Impresa comune Chips”. L’obietivo è raccogliere 43 miliardi di euro.

Ma non solo: verranno introdotte nuove norme sugli aiuti di Stato per permettere di attirare investimenti e di concedere aiuti anche al 100% alle aziende. Ma ci devono essere tre condizioni, ha spiegato la commissaria alla Concorrenza Vestager, il finanziamento “deve essere il primo nel suo genere, l’aiuto deve essere mirato e proporzionato (solo ciò che è necessario e niente di più) e i progetti dovranno andare a beneficio dell’Europa nel suo insieme”. Qualcosa di insolito per la politica dell’Unione europea, che dopo la pandemia prova a rilanciarsi sia al suo interno che sulla scena globale. “L’Europa è il continente in cui sono iniziate tutte le rivoluzioni industriali. E anche l’Europa può essere la patria della prossima rivoluzione industriale”, è l’auspicio di von der Leyen.