Bangkok, il caos calmo di una metropoli sorprendente

“ Bangkok è la Londra d’Oriente”, mi disse una volta un amico estimatore della Thailandia. Non ho ancora esplorato appieno la città ma di certo a prima vista sembra una metropoli caotica ma dai mille volti, ognuno incastrato come una tessera di un mosaico in continua evoluzione, custode della tradizione ed emblema della modernità nel Sud-Est asiatico.

L’impatto con Bangkok è stato molto più dolce di quello che mi aspettavo. Rispetto all’India è di gran lunga un luogo più pulito, organizzato e accogliente. Non ho visto povertà estrema e le strade e i marciapiedi sono davvero puliti, considerata anche la concentrazione di gente e attività commerciali. I cestini, tra l’altro, sono pochi (con un tentativo di differenziare) e non si sa dove vadano a finire i rifiuti. Incredibile visu: ci sono anche le strisce pedonali, che per quanto ignorate fanno comunque la loro sporca figura; c’è chi osa andare in bici seguendo percorsi fantomatici ciclabili sulla mappa e per strada non vedi quelle famiglie di tre generazioni sullo scooter senza casco come in India. Massimo due, tutti con casco. Le strade sono tutte ben asfaltate, ma stiamo comunque parlando della zona centrale, quella dell’ansa del fiume Chao Phraya, non raggiunta dalla metro. E soprattutto non c’è il frastuono di clacson che mi aspettavo, al massimo nelle zone semipedonali alzano i fari. Insomma, aggiungendo il clima tropicale e togliendo qualche buca, per qualità della vita non si discosta molto da Roma.

Fin dall’arrivo in aeroporto ho capito che non tutti vogliono ingannarti o rifilarti truffe: nei pressi dell’ufficio informazioni mi avvicina un uomo per aiutarmi, declino l’offerta, per poi scoprire che effettivamente lavorava al banco informazioni e voleva solo suggerirmi il modo migliore di arrivare all’hotel. Decido di prendere la metro – di solito preferisco viaggiare come i locali – dove una signora vedendomi con la mappa decide di spiegarmi i vari modi di arrivare all’hotel. La gratuità disinteressata, per chi come me ha viaggiato molto in India, è qualcosa di insolito. E così anche le varie persone che hanno cercato di rifilarmi qualche tour sui tuk-tuk a prezzi risibili dopo pochi ed educati tentativi si sono ritirati al mio diniego. Come se ci rimanessero male. In India non c’è scampo, o impari ad evitarli attivando radar invisibili lungo il cammino, o finisci per passare mezza giornata a dire di no fino a raggiungere il desiderio di regalargli un rene in cambio della libertà.

Le contrattazioni sul prezzo dei tuk-tuk (i tipici rikshaw, molti targati Piaggio Ape, simbolo della mobilità asiatica e valida alternativa ai taxi) sono molto meno faticose e spesso si concludono in una tariffa ragionevole e ragionata in base ai chilometri e al traffico.

L’hotel che ho scelto quasi per caso su Booking si è rivelato una piacevole sorpresa: per 290 bath a notte (circa 8 euro) mi aspettavo la solita guest house indiana, con le pareti madide di umidità annerita, i bagni maleodoranti e un materasso più fornito di insetti del Museo di Storia Naturale. E invece tutto è meravigliosamente pulito, lenzuola e asciugamani compresi e persino l’asciugacapelli (scusate se uso parole italiane ogni tanto) e il bagnoschiuma per la doccia. Surplus: un ameno giardino che lo isola dal caos della vicina Kaosan Road, la vivace zona dei divertimenti popolata da turisti.

Day One (stavolta ci stava bene l’inglese). Mi dirigo verso il mega complesso templare del Gran Palace, fiumi di scolaresche e devoti thailandesi confermano che il procacciatore di turisti non mi aveva mentito: oggi è un giorno speciale, quello della cerimonia di benedizione di un Buddha, alla presenza del re. E poi ho i pantaloncini corti, non mi lasceranno entrare. Bene. Passiamo al secondo complesso monumentale: Wat Pho. Il tempio con il mega Buddha sdraiato.

Nel prezzo del biglietto, 100 bath (2,5 euro), è compresa una bottiglietta d’acqua. Un padiglione ben illustrato e depliant in varie lingue spiegano i diversi punti di interesse del sito. Non c’è bisogno di pagare la guida. Una cosa che salta all’occhio per un classicista come me: le tavole esplicative, così come quelle disseminate per la città, non riportano quasi mai la datazione, al massimo la dicitura del re sotto il quale sono stati eseguiti. Da giovane ho provato a memorizzare la successione degli imperatori romani e me la cavo anche con i papi, ma i regnanti thailandesi, chiedo venia, non ho avuto tempo di impararli. In realtà, credo che l’esatta datazione sia un pallino tutto occidentale. Da quel ho visto in Oriente ho appreso che è tutto un divenire, che le cose non hanno valore in funzione del livello di antichità. Del resto in Giappone distruggono i siti antichi per ricostruirne di nuovi al loro posto. Dopo tutto Bangkok è una città giovane, scelta come nuova capitale thailandese solo nel 1782, dopo l’invasione birmana dell’antica Ayutthaya.

Attrazione principale è senza dubbio il grande Buddha dorato nella rara posizione sdraiata. Lungo 43 metri e alto 15, sembra quasi entrare a forza nel tempio costruito per contenerlo. La parte più interessante sono i piedi, spesso trascurati dai visitatori, con le piante intarsiate di madreperla che raffigurano 108 segni di buon auspicio.

Nel complesso spiccano anche i quattro stupa costruiti per ospitare altrettanti Buddha, uno per ogni imperatore. Poi si sono accorti che viste le repentine successioni era il caso di finirla con questa tradizione. Le antiche iscrizioni sulla medicina tradizionale thailandese fatte riportare nel complesso assieme alle sculture sulle varie posizioni della sacra tecnica del massaggio hanno dato vita in tempi recenti al Centro di medicina tradizionale e massaggi. Per il resto, a parte originali lampioni in terracotta con motivi floreali e sculture di rose, è tutto un susseguirsi di buddha (ce ne sono ben 872), molti provenienti dalle province del Nord della Thailandia. Ho visto la faccia dei turisti sciogliersi buddha dopo buddha nell’afa senza tregua come se avessero raggiunto il Nirvana. Un po’ come quando in alcuni dei nostri musei inizi con la parte del ‘300 con la Madonna con bambino (anonimo) n. 1 e quando arrivi alla ventesima inizi a dire: dov’è la sala del Novecento?

Dopo un lungo giro per mercati e per Chinatown, a cui dedicherò un post a parte, concludo la visita con un altro Buddha, quello del Wat Traimit, una statua di tre metri di oro massiccio, riportata alla luce negli anni Settanta dopo secoli in cui si conosceva per la sua versione ricoperta di stucco. La grande popolarità della statua, con le relative donazioni, ha permesso la costruzione di un imponente tempio, da cui si osserva una parte della nuova Bangkok dei grattaceli in costruzione. “L’immagine del Buddha non è per i tatuaggi o per le decorazioni”, ammoniscono diversi cartelli. Penso alla differenza con l’antica tradizione copta di tatuarsi la croce sulla fronte e le braccia, diffusa soprattutto in Etiopia, penso all’uso e l’abuso che si è fatto della croce anche nella cultura cristiana. In ogni caso hanno ragione, dalle nostre parti certi simboli orientali sono stati spesso esportati come tendenza, privati del significato originario. Buddha, in fondo, è simpatico a tutti, ma in Thailandia è la loro divinità, assieme a un’altra, meno divina, di cui parleremo …

 

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