Cambogia, il genocidio dei Khmer Rossi e i luoghi del terrore

Nei pavimenti ancora qualche traccia di sangue. Il centro di detenzione e tortura S-21 o Tuol Sleng, è rimasto più o meno così come l’hanno trovato le forze vietnamite quando sono entrate a Phnom Penh alla caduta del regime dei Khmer Rossi. Un tempo scuola superiore, tre le sue aule, trasformate in prigioni, si è consumato uno dei tanti orrori del regime di Pol Pot. Nessuno sapeva cosa accadeva a Tuol Sleng tra il 1975 e il 1979. Dopo lo svuotamento dai parte dei Khmer, Phnom Penh era diventata una città fantasma e nessuno si accorse che tra le 12 e le 20mila persone vennero imprigionate, torturate e uccise qui.

Oggi rimangono solo 12 sopravvissuti e le prove inconfutabili dei crimini contro l’umanità commessi dai Khmer Rossi. Di centri come questo ve ne erano centinaia in tutta la Cambogia, che si sommano alle tante fosse comuni dove venivano gettati i corpi dopo le torture. Le stime più generose parlano di 1,7 milioni di morti in tutto il Paese, un quarto della popolazione cambogiana spazzato via dalla furia distruttrice dell’ideologia.

Per troppo tempo la comunità internazionale ha fatto finta di non vedere, rendendosi indirettamente complice della più grande operazione di terrore e genocidio dopo il Nazismo. Per un certo tempo, in Occidente, di fronte all’emergere dei crimini commessi da Stalin, molti giovani comunisti hanno rivolto le loro attenzioni alla rivoluzione maoista cinese e al progetto di realizzazione di una società egualitaria agricola dei Khmer Rossi. La Svezia è stato il Paese più simpatizzante, l’unico in Occidente ad aver avuto relazioni diplomatiche e ad aver negato per lungo tempo la veridicità dei racconti dei rifugiati sfuggiti al regime.

All’inizio l’ascesa dei Khmer Rossi viene in parte vista con favore dalla popolazione più povera, stremata dalla guerra civile, dalle mine e dai bombardamenti americani che a partire dal ’70 avevano devastato la regione in cerca dei cosiddetti santuari dei vietcong. Una guerra tenuta nascosta al Congresso e all’opinione pubblica degli Stati Uniti fino al ’73 e per questo detta segreta. Ecco perché quando i guerriglieri entrarono a Phnom Pehn il 17 aprile 1975 vengono accolti con gioia. L’entusiamo però dura solo poche ore. Già il giorno dopo i Khmer Rossi iniziano a evacuare tutte le città, privando i cittadini dei loro beni e deportandoli nelle campagne. Chiunque fosse sospettato di avere legami col precendente governo filoamericano veniva ucciso. Spesso i Khmer li constringevano ad ammazzarsi tra loro, con badile e altri strumenti per evitare lo spreco di proiettili. Stessa sorte per gli artisti e intellettuali: bastava portare gli occhiali o non essere capaci di salire su un albero agilmente per essere uccisi. La nuova società agricola comunista doveva rispondere solo ad Angkar, l’Organizzazione: i familiari furono separati, i bambini strappati alle famiglie, tutti forzati a coltivare la terra.

Il terrore era ovunque: chiunque osasse protestare, fare domande, nascondere cibo veniva fatto a pezzi, spesso dai loro stessi concittadini. Molti morirono per malattia, visto che i Khmer avevano proibito di ogni prodotto proveniente dall’Occidente, farmaci compresi. Un’intera generazione viene spazzata via, il resto lo hanno fatto le mine che ancora oggi sono disseminate nelle campagne e contribuiscono a far aumentare l’alto numero di orfani.

Le regole del carcere erano surreali.

  1. Devi rispondere attenendoti alla mia domanda. Non tergiversare.
  2. Non cercare di occultare i fatti adducendo pretesti vari, ti è severamente vietato contestarmi.
  3. Non fare il finto tonto, perché sei un controrivoluzionario.
  4. Devi rispondere immediatamente alle mie domande senza sprecare tempo a riflettere.
  5. Non parlarmi delle tue piccole azioni immorali o dell’essenza della rivoluzione.
  6. Non devi assolutamente piangere mentre ricevi l’elettroshock o le frustate.
  7. Non fare nulla, siediti e attendi i miei ordini. Se non ci sono ordini, rimani in silenzio. Quando ti chiedo di fare qualcosa, devi eseguire immediatamente senza protestare.
  8. Non inventare scuse sulla Kampuchea Krom per nascondere i tuoi segreti da traditore.
  9. Se non segui tutte le regole succitate, riceverai moltissime frustate con il cavo elettrico.
  10. Se disubbidirai ad una sola delle mie regole riceverai dieci frustate o cinque scosse elettriche.

Oggi, dopo anni di silenzio, si cerca di conservare la memoria di quegli orrori. C’è un monumento alle vittime del genocidio, un centro di documentazione e diverse iniziative. Poco fuori Phnom Penh è possibile visitare un altro luogo del terrore: i campi di uccisione di Choeung Ek, da cui sono stati riesumati i resti di quasi 9000 persone. Anche nelle sale cinematografiche ci sono diversi film e documentari di produzione cambogiana che rievocano quel periodo. “Per primo hanno ucciso mio padre”, diretto da Angelina Jolie, è uno degli ultimi usciti.”The killing fields” e “The missing picture” sono altri film disponibli nelle sale in questo momento.

I processi del Tribunale internazionale istituito con la supervisione delle Nazioni Unite hanno dato invece pochi frutti e molti hanno sospettato poca collaborzione da parte delle autorità locali. (Leggi qui). Pol Pot è morto, forse suicida, lo stesso giorno che i Khmer avevano dato via libera al suo processo, mentre ad oggi solo tre persone sono state condannate, tra cui l’ex direttore di S-21, chiamato Duch. “Meglio distruggere dieci innocenti che lasciare un nemico vivo era l’ordine di Pol Pot – ha dichiarato nella sua confessione -. E che io fossi o meno d’accordo non faceva differenza. Chi arrivava a Tuol Sleng non doveva e non poteva uscire vivo: era vivo ma già praticamente morto”.

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